Case History: ecco cosa succede se si vuole vendere un immobile da costruire se manca la garanzia fideiussoria
Il Case History di oggi interesserà tutti coloro che intendono intraprendere una trattativa per l’acquisto di un immobile. In particolare vedremo che il preliminare sarà insanabile quando si vuole vendere un immobile da costruire e manca la garanzia fideiussoria.
Una recente sentenza di merito ha affermato l’insanabilità di un contratto preliminare con il quale un imprenditore aveva promesso di vendere, ad un privato un immobile da costruire, omettendo il rilascio della garanzia fideiussoria prevista dall’art. 2, D.Lgs. n. 122/2005, sebbene, a distanza di tre mesi dal perfezionamento del contratto, il medesimo promittente venditore avesse fatto in modo di rilasciare tale garanzia fideiussoria, nel tentativo di operare una sorta di sanatoria del contratto preliminare invalido e quindi di conservarne gli effetti e di sanarne invalidità.
La Corte tribunalizia, con la pronuncia “de quo”, afferma alcuni principi sui quali conviene soffermarsi.
In primo luogo essa riconosce, alla causa di invalidità prevista dall’art. 2 del citato decreto legislativo, la natura di nullità relativa, cioè di quella categoria di nullità che, in quanto posta a tutela, non di un interesse generale, ma di un interesse specifico di taluni soggetti, può essere fatta valere solo da costoro, sebbene rilevabile d’ufficio anche dal Giudice.
In seconda battuta, essa afferma che, attesa l’inderogabilità della norma, non è possibile una rinuncia preventiva, da parte dell’acquirente, alla garanzia fideiussoria, non consentendo la nullità in discorso alcuna forma di sanatoria o di convalida successiva del contratto viziato.
Quindi, la medesima Corte, si affretta a confermare come, nel caso di specie, tale nullità originaria del contratto è, a maggior ragione, non suscettibile di sanatoria e/o di convalida in quanto la garanzia fideiussoria successivamente prestata veniva prestata da soggetto non idoneo secondo le prescrizioni di legge. Si vede affermato il principio per il quale la mancanza della prestazione di garanzia equivale in tutto e per tutto all’ipotesi in cui la garanzia, pur prestata, tuttavia sia stata concessa da soggetto non abilitato o abbia contenuti sostanziali diversi da quelli prescritti dalla norma.
Infine, pur dando luogo soltanto ad un inciso, la Corte non dimentica come l’efficacia della fideiussione viene a cessare solo quando, perfezionatosi l’atto definitivo di trasferimento, viene meno la stessa “ratio” garantista voluta dalla disciplina di cui al D.Lgs. 122/2005, rintracciabile nel rischio che corre il promissario acquirente, con riferimento alla parte del corrispettivo già dallo stesso versato, qualora tra il momento del preliminare e la stipula del definitivo, l’intervento di una situazione di crisi economica dell’imprenditore, impedisse l’acquisizione della proprietà da parte del promissario acquirente e ponesse, quest’ultimo, altresì, in condizione di non poter recuperare le somme già versate.
Se come si è affermato, la causa di nullità costituisce un vizio tale, da determinare una conseguente invalidità del negozio che ne è affetto operante “erga omnes” ed azionabile da chiunque ne abbia interesse e addirittura d’ufficio da parte del Giudice, è inimmaginabile una categoria analoga di invalidità che, tuttavia, consente che gli effetti negoziali possano prodursi relativamente a determinati soggetti e non operare, invece, nei confronti di altri.
Ebbene, di fronte a tali conclusioni, in parte condivisibili, appare necessario effettuare alcune considerazioni. È innegabile che la moderna normazione, sia assai più “specialistica” di quanto non lo fossero le scelte legislative più risalenti. In altre parole, la maturazione della società civile ha condotto, via, via, il legislatore a non occuparsi soltanto di casi generali e generici, a fronte dei quali è difficilmente collocabile la cosiddetta “giustizia del caso singolo”. Esigenze di tutela e di protezione di speciali fattispecie che si collocano al fianco di determinati soggetti, presi in considerazione per caratteristiche proprie, ha condotto ad una teoria legislativa capace di produrre norme, specialistiche appunto, che sono adottate a protezione di interessi di singoli soggetti e che, come tali, non coinvolgono interessi generali dell’intera collettività.
Ora, la contravvenzione a tali disposizioni, non può trovare adeguato “risarcimento” nella tradizionale categoria dell’annullabilità, caratterizzata, anch’essa (come il caso della nullità relativa) da un azionabilità di parte, in mancanza della quale il negozio continua a produrre tutti i suoi effetti. E ciò perché l’annullabilità costituisce categoria “sanzionatoria” dedicata alla tutela di interessi per così dire “secondari”, e comunque la violazione dei quali non pregiudica aspetti così importanti, da determinare la conseguenza di una radicale invalidità contrattuale. Sicché, si è reso opportuno escogitare un rimedio “sanzionatorio” che, assumendo la maggiore forza riconosciuta alla nullità (rispetto al ben più blando rimedio dell’annullabilità), consentisse, tuttavia, una riserva di legittimazione all’azione esclusivamente al soggetto alla tutela del quale è destinata la regola contravvenuta.
In altri termini, è opportuno convenire – come affermato dalla dottrina più moderna sul punto – che, quando la violazione concerna una norma che non è “imperativa” nei confronti della generalità dei contraenti, ma posta a tutela dell’interesse particolare di un certo soggetto, essa determina l’insorgenza di una invalidità contrattuale che, però, può essere fatta valere solo dal soggetto tutelato dalla norma violata (ed anche dal Giudice, d’ufficio, salvo il ricorrere di un’opposizione all’azione da parte del soggetto tutelato, che, in tal modo, paralizza la prosecuzione del procedimento).
Per completezza di indagine, occorre rammentare, poi, che la categoria della “nullità relativa” nulla ha a che vedere con quella diversa opzione che, con riferimento alle ipotesi di nullità, è però codicisticamente prevista dal primo comma dell’articolo 1419 c.c., ovvero quella della “nullità parziale”. Tale fattispecie, infatti, pur costituendo una forma comunque di nullità assoluta, suscettibile di essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse, colpisce solo una parte o singole clausole contrattuali, con la conseguenza che, a meno di clausole senza le quali i contraenti non avrebbero concluso il contratto, la nullità che le abbia a colpire, non coinvolge l’intero contratto che continuerà a produrre tutti i propri effetti, eventualmente con la sostituzione, alle clausole nulle, di clausole legalmente previste. La norma da ultimo richiamata, delinea dunque una ipotesi di nullità parziale oggettiva, così definita in contrapposizione con la diversa fattispecie, delineata dal successivo articolo 1420 c.c., e definita nullità parziale soggettiva, ove la nullità che colpisce il vincolo di una parte, nell’ambito di un contratto plurilaterale con comunione di scopo, non fa venir meno il vincolo delle altre parti, salvo che la partecipazione della parte esclusa sia da considerarsi essenziale, secondo le circostanze.
A questo punto, occorre rilevare come, sostanzialmente, la pur discussa categoria della nullità relativa intenda, di fatto, per un verso, consentire che solo il soggetto nel cui interesse è prevista la norma di tutela violata, possa reagire, lasciando, invece, piena libertà allo stesso di far proseguire i naturali effetti contrattuali, in mancanza di una propria reazione e, per altro verso, lasciare che il soggetto tutelato possa, in qualsiasi momento, azionare la propria tutela, evitando che egli possa precludersi tale scelta attraverso una rinuncia preventiva all’azione (appunto non consentita, secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti), oppure, attraverso una convalida, a posteriori, del contratto viziato.
E, per quanto la mancata proposizione dell’azione di nullità da parte di chi, dalla nullità relativa, è tutelato, sortisca i medesimi effetti sostanziali di una rinuncia all’azione o di una volontaria convalida del contratto viziato, gli effetti di tali fattispecie condurrebbero ad una definitiva preclusione della proposizione dell’azione di nullità e precluderebbero, altresì, la rilevabilità d’ufficio da parte del Giudice. Di guisa che, per tale strada, verrebbero meno proprio i due requisiti principali dell’azione di nullità, ovvero la sua imprescrittibilità e la sua rilevabilità d’ufficio.
Pertanto, almeno in linea di principio, sono del tutto coerenti le conclusioni della Corte circa l’inammissibilità di una rinuncia preventiva all’azione e l’inammissibilità di una volontaria convalida del negozio viziato o di una forma di sanatoria successiva, dipendente dall’avvenuta prestazione di una garanzia fideiussoria, conforme ai contenuti e agli scopi voluti dalla norma di tutela, ma rilasciata successivamente, rispetto al momento della stipulazione del contratto preliminare. Qualora si volesse obiettare a tali conclusioni come, in effetti, esistano addirittura ipotesi di nullità assoluta che sono, per espressa previsione normativa, eccezionalmente sanabili, l’obiezione sarebbe priva di un suo fondamento logico se rapportata alla fattispecie qui esaminata.
Infatti le ipotesi di nullità assolute eccezionalmente sanabili (quali quelle, ad esempio, dettate in materia urbanistico-edilizia) si riconnettono tutte a fattispecie in cui la sanatoria non dipende dalla sopravvenienza di elementi successivi, rispetto al momento in cui sarebbero dovuti fatti rilevare, ma esclusivamente da una integrazione contrattuale con elementi, già esistenti al momento del perfezionamento del contratto viziato, ma effettivamente omessi nel contenuto dell’atto. Il che, come è evidente, non determina alcun turbamento dell’interesse collettivo che la norma tendeva a tutelare con la sanzione della nullità. Al contrario, nel caso che attraverso queste brevi note si è cercato di trattare, è proprio la mancanza di un certo elemento, in un certo momento temporale in cui la norma ne richiedeva la presenza materiale, a determinare la definitiva violazione di un interesse di parte, che potrebbe anche essere superato (attraverso la spontanea volontà della parte offesa, che decidesse di non agire con l’azione di nullità), ma per la tutela del quale è necessario sempre assicurare alla parte offesa la possibilità di agire a tutela del proprio interesse violato.
Eppure una primordiale forma di sanatoria del contratto nullo, esiste. L’art. 3, comma 4 del già citato D.Lgs. 122/2005 prevede che “l’efficacia della fideiussione cessa al momento del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento sull’immobile o dell’atto definitivo di assegnazione”. In altri termini, il promissario acquirente, al quale venga effettivamente traslato il diritto reale promessogli con il contratto preliminare, mediante la stipulazione di un contratto definitivo avente ad oggetto l’immobile finito, cessa di avere la legittimazione ad agire in relazione all’azionamento della nullità, difettando in lui l’interesse, concreto ed attuale, di agire in giudizio.
A ragionare diversamente, infatti, si giungerebbe ad un risultato iniquo, certamente non voluto dalla norma di protezione, per il quale il contraente debole al quale non fosse stata rilasciata la fideiussione nei termini previsti, pur in presenza di un promittente venditore disposto a trasferirgli il diritto reale sull’immobile, attraverso il perfezionamento del contratto definitivo, pensasse bene, solo a quel punto, di tirarsi indietro dalla conclusione dell’affare, adducendo, solo al momento del definitivo, la nullità del contratto preliminare e, per questa via, si sottraesse all’obbligo di adempiere al definitivo, in un momento, però, in cui la garanzia fideiussoria, effettivamente mancante, avrebbe finito comunque di produrre i propri effetti.
Partendo da queste ultime considerazioni, di fronte alle quali l’inequivocabile testo della norma conduce implicitamente ad una sorta di sanatoria tacita del contratto preliminare (sul punto si veda, tra gli altri: G. Rizzi, “La nuova disciplina dell’acquirente di immobili da costruire, in Notariato 2005, 4, 440, secondo cui «una volta consegnato il bene e quindi venuti meno quei rischi contro i quali la tutela è stata legislativamente imposta, l’invalidità deve considerarsi definitivamente “sanata”.»), è opportuno soffermarsi su ciò che la Corte, della cui sentenza qui si argomenta, ha espressamente escluso.
E’ facile anzitutto eliminare alcune confusioni di fondo che la dottrina che ha ammesso una convalida della nullità relativa, ha spesso richiamato. In prima battuta, come si è già avuto modo di osservare sopra, non è affatto vero che l’unica ipotesi di nullità non convalidabile, sia quella della nullità assoluta. Anche un interesse diffuso a tutela del quale è prevista una forma di nullità assoluta potrà essere suscettibile di essere ugualmente protetto in presenza di una successiva sanatoria del contratto nullo, almeno quando l’elemento mancante nel contratto, fosse comunque esistente al momento della stipulazione contrattuale (l’esempio richiamabile è quello dell’eccezionale sanatoria del contratto nullo per omessa o inesatta menzione relativa ai provvedimenti abilitativi edilizi). In seconda battuta, non è richiamabile – come pure si è fatto – un parallelismo con le clausole vessatorie che, se espressamente e specificamente accettate, secondo il disposto dell’articolo 1341 c.c.., fanno restare in piedi l’intero contratto e, qualora non accettate, vengono, ai fini della conservazione degli effetti contrattuali, colpite, non da una nullità relativa, ma da una nullità di tipo parziale, idonea a determinare un’automatica sostituzione delle clausole nulle con quelle “secundum legem”. Meno ancora è dimostrabile un’assunta equiparazione, sotto il profilo della sanabilità della nullità relativa, della sanzione della nullità relativa, appunto, con quella dell’annullabilità.
La questione è un’altra. Essa deve rinvenirsi e prendere le mosse proprio dalla protezione di un interesse individuale (e non di un interesse “diffuso” dell’intera collettività) alla cui tutela è collegata la causa di nullità (relativa), e chiedersi dunque se è davvero inammissibile la convalida volontaria del contratto relativamente nullo, e quindi la sua sanatoria, quando il soggetto debole tutelato intenda espressamente dare pieno effetto al contratto, sottraendo a se stesso la facoltà di agire per far valere la nullità.
Con la causa di nullità relativa, come si è più volte ricordato, viene sanzionata la violazione di una norma che è preposta ad un interesse individuale. Ora, come è ovvio, se questo interesse è davvero legato alla sfera giuridico-negoziale di un determinato soggetto, la nullità che ne deriva per il caso di una sua violazione, non costituisce nullità da protezione di un interesse pubblico e, pertanto, rappresenta una forma sanzionatoria non sottratta all’autonomia delle parti interessate nel farla valere. Tanto ciò è vero che, sebbene la nullità relativa, al pari della sua categoria generale, non scampa alla possibilità di un rilievo d’ufficio da parte del Giudice, epperò tale rilievo può essere paralizzato dall’intenzione, espressa dall’interessato (tutelato dalla norma violata), che manifesti in giudizio una ferma volontà contraria al rilievo d’ufficio. Sicché è plausibile concludere nel senso che la disposizione di tutela offre un tale ampio margine di protezione, al soggetto danneggiato, da lasciarlo libero nel ritenere se e quando agire, azionando, o meno, la disposizione sanzionatoria. Diversamente, se il legislatore avesse ritenuto che la violazione diretta dell’interesse del tutelato (il contraente debole), finisse per investire, sia pure indirettamente, un interesse appartenente ad una pluralità indeterminata di soggetti, la reazione dell’Ordinamento, non sarebbe potuta essere che quella di una nullità assoluta, suscettibile di essere azionata da chiunque ne avesse interesse e dal Giudice d’ufficio, senza possibilità che alcuno ne potesse paralizzare il procedimento. Ma, di più: essendo, quella della nullità assoluta, una fattispecie sanzionatoria il cui operare è sottratto alla disponibilità privata, la regola generale è quella della tradizionale irrecuperabilità del contratto viziato, come tale non suscettibile di una convalida a posteriori, né, tanto meno, di una sanatoria. E, quando tali eccezionali misure di conservazione degli effetti del negozio viziato, siano state effettivamente previste, ciò lo si è dovuto ad altrettanto eccezionali norme derogatorie proprio dell’assolutezza della nullità, a ragione della prevalenza dell’interesse alla conservazione degli effetti contrattuali in presenza di particolari e imprescindibili condizioni previste dalle stesse norme di conservazione.
E tanto più quel che si afferma corrisponde al vero, quanto più si faccia caso al fatto che, appunto la caratteristica, forse centrale, della categoria della nullità relativa, è quella posta dalla mera facoltà d’azione da parte del soggetto dalla stessa protetto, mai sfociando, la previsione sanzionatoria, in un obbligo di azionamento da parte del tutelato.
Conclusioni
Pertanto, al di là del caso di specie trattato, non pare possa assurgere a principio generale l’impossibilità che l’offerta di una fideiussione tardiva, da parte di chi vi fosse tenuto, con il consenso e l’accettazione espressa da parte del soggetto che avrebbe potuto agire per la nullità, possa condurre ad una sanatoria del contratto nullo.
D’altro canto, l’assodata irrinunciabilità preventiva alla prestazione della fideiussione, non può dirsi esattamente coincidente con una accettazione tardiva della stessa. Nel primo caso, infatti, si lascerebbe, al soggetto che la norma intende tutelare, il potere (evidentemente non consentito) di negoziare una deroga alla norma di protezione la quale è, e resta, norma imperativa (altrimenti facilmente eludibile attraverso forzature negoziali istruite – da parte del soggetto forte – a danno della parte debole). Nel secondo caso, invece, si attua niente altro che la volontà di assecondare una conservazione degli effetti del contratto, viziato dall’assenza originaria della prestazione di garanzia, mediante l’accettazione di una garanzia tardiva che, comunque, non elimina ciò che la norma imperativa ha imposto a tutela della parte debole.
Ma vi è un’ultima considerazione che convince a ritenere plausibili le conclusioni cui si è giunti. La mancata prestazione della fideiussione, nei termini indicati dalla legge, non determina un’automatica sanabilità del contratto al solo cospetto di un’offerta tardiva della prestazione di garanzia stessa da parte di chi vi era tenuto, quando non vi sia la presenza di una espressa manifestazione volontaristica del contraente debole, volta ad accettare la prestazione di garanzia tardiva e quindi a mantenere gli effetti del contratto. Volontà, questa, in assenza della quale, nonostante l’offerta di una fideiussione tardiva, restano fermi tutti gli effetti della nullità relativa. Ma, allorché tale intenzione del contraente debole venisse manifestata positivamente, essa non può affatto dirsi diversa da quell’analoga finalità, che lo stesso contraente debole paleserebbe, nel bloccare eventualmente la rilevata nullità, eventualmente fatta valere d’ufficio da parte del Giudice. L’evidente analogia tra le due situazioni consente di esprimere certo possibilismo nel considerare come una convalida del contratto che sia affetto da nullità relativa possa trovare ragione di esistere e di essere legalmente supportata, a condizione che in tale sanatoria siano coinvolte le volontà di entrambi i contraenti.