Falso in scrittura privata? Senza danno non c'è sanzione

Nel Case History di oggi parleremo della depenalizzazione di un illecito civile.
La sentenza in esame ha visto infatti il rigetto della domanda risarcitoria, nonostante l’avvenuto accertamento della falsificazione dei documenti e del loro utilizzo, di applicare la sanzione pecuniaria. Perché? Presto detto.
Sono scomparsi alcuni articoli del codice penale e ne sono stati rimaneggiati altri.
Qualora il giudice competente a conoscere della domanda risarcitoria, accerti la responsabilità del convenuto maturando il convincimento che la condotta lesiva sia connotata dall’intenzionalità, scatta per il soccombente l’obbligo di pagare una sanzione civile pecuniaria, il cui importo sarà determinato dal giudicante nel range e secondo i criteri, fissati dal legislatore.

Segnatamente per quantificare l’entità della sanzione, il giudice dovrà tener conto di sei distinti profili:
a) la gravità della violazione;
b) la reiterazione dell’illecito;
c) l’arricchimento del soggetto responsabile;
d) l’opera svolta dall’agente per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze dell’illecito;
e) la personalità dell’agente;
f) le condizioni economiche dell’agente.

Per quanto riguarda il punto b), si precisa che la reiterazione si verifica qualora l’illecito sottoposto a sanzione pecuniaria civile sia compiuto entro quattro anni dalla commissione, da parte dello stesso soggetto, di un’altra infrazione suscettibile di omologa sanzione, che sia della stessa indole e che sia stata accertata con provvedimento esecutivo; con l’ulteriore puntualizzazione che, sulla falsariga della nozione di “reati della stessa indole” rinvenibile nel codice penale, si considerano della stessa indole le violazioni della medesima disposizione e quelle di disposizioni diverse che, per la natura dei fatti che le costituiscono o per le modalità della condotta, presentano una sostanziale omogeneità o caratteri fondamentali comuni.

Tra le fattispecie non più colpite dalla sanzione penale figura quella prevista all’abrogato art. 485 c.p. rubricato “Falsità in scrittura privata”, che assoggettava alla reclusione “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, forma, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa, o altera una scrittura privata vera […], qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso”.
L’abolizione non ha comportato un completo ripensamento, però. Infatti, nel novero gli illeciti civili sottoposti a sanzione pecuniaria, compare quello imperniato sulla condotta di “chi, facendo uso o lasciando che altri faccia uso di una scrittura privata da lui falsamente formata o da lui alterata, arreca ad altri un danno”.

Per effetto della nuova formulazione dell’art. 491 c.p., permane comunque la rilevanza penale della falsificazione o dell’utilizzazione dell’atto falso, in relazione ad alcune scritture private specificamente indicate, ossia il testamento olografo, la cambiale e gli altri titoli di credito trasmissibili per girata o al portatore, e sempre che il fine perseguito dall’agente sia quello di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno (Cass. pen., sez. V, 10 febbraio 2016, n. 26812).

Proprio della domanda risarcitoria spiegata nei confronti dell’autore di diversi falsi in scrittura privata si è occupato di recente il Tribunale di Verona. La richiesta, volta specificamente al ristoro dei danni non patrimoniali lamentati dagli istanti a seguito dell’apposizione per mano del resistente di firme riferibili alle controparti in calce ad alcuni contratti e istanze amministrative (si noti, che con riferimento al delitto di cui all’art. 485 c.p., si sono fatte rientrare nella nozione di scrittura privata non soltanto gli atti contenenti dichiarazioni o manifestazioni di volontà idonee a costituire ovvero modificare diritti e posizioni oggettive, ma anche quelli relativi a situazioni suscettibili di generare effetti giuridicamente rilevanti per un determinato soggetto: così Cass. pen., sez. V, 16 ottobre 2014, n. 7703, in una fattispecie relativa all’apposizione di una falsa firma di un architetto su un allegato planimetrico depositato unitamente alla DIA per i lavori di ristrutturazione di un fabbricato).

Il collegio giudicante affronta innanzitutto lo snodo preliminare delle ricadute della decriminalizzazione sulla configurabilità di un ristoro per i pregiudizi di natura non patrimoniale.
I giudici di Verona si attestano su una posizione differente, nella misura in cui offrono una lettura della menzionata disposizione nel senso che il termine “reato” possa riferirsi non semplicemente alla fattispecie contemplata dalla norma penale ma al “fatto di reato”, vale a dire al fatto che, nella sua materialità, sia lesivo anche di un interesse pubblico, circostanza quest’ultima che contraddistingue gli illeciti civili delineati dal D.Lgs. n. 7/2016; in via subordinata, si riconosce comunque l’attitudine della condotta presa di mira a vulnerare un diritto di rilevanza costituzionale, individuabile nell’identità persone dei soggetti le cui sottoscrizioni sono state falsificate (nel senso che l’identità personale in quanto diritto fondamentale della persona, come tale costituzionalmente protetto, giustifica il risarcimento del danno anche non patrimoniale derivante dalla sua lesione, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo costituisca o no reato, si esprimono Cass. civ Sez. I, 31 luglio 2015, n. 16222, con riferimento alle conseguenze pregiudizievoli, per il figlio, di un riconoscimento della paternità consapevolmente falso; nonché Cass. civ. Sez. III, 24 aprile 2008, n. 10690).
Detto questo, quanto all’astratta risarcibilità del danno non patrimoniale, viene peraltro escluso, in ragione del contegno tenuto dai ricorrenti da cui emergeva una sostanziale indifferenza rispetto ai falsi materiali denunciati, anche nella prospettiva della rappresentazione della loro identità che i documenti alterati potevano fornire presso i terzi.
Il Tribunale si pone poi il problema dell’applicabilità all’autore del falso della sanzione civile pecuniaria. Nonostante sia stata acclarata la manipolazione delle scritture e il loro utilizzo (a quanto consta, il resistente aveva inoltrato la documentazione alla pubblica amministrazione al fine di ottenere determinati titoli abilitativi), la mancata identificazione di un qualsivoglia pregiudizio meritevole di compensazione preclude la possibilità di comminare detta sanzione.
Del resto, dal dettato legislativo emerge con chiarezza che “il giudice decide sull’applicazione della sanzione civile pecuniaria al termine del giudizio, qualora accolga la domanda di risarcimento proposta dalla persona offesa”. Un ulteriore fattore ostativo all’operativa della sanzione pecuniaria, consistente nell’impossibilità di applicare retroattivamente la nuova disciplina a situazioni che non presentino tutti gli elementi del corrispondente reato abrogato.

Speriamo che questo articolo via sia stato utile!

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