Case History: il voto contrario dell’Agenzia delle Entrate non impedisce l’omologazione
Nel Case History di oggi parleremo di transazione fiscale, e di come non rappresenti un accordo autonomo e non debba essere inserita nel piano concordatario.
Il voto contrario dell’Agenzia delle Entrate non impedisce l’approvazione della proposta concordataria da parte della maggioranza dei creditori e l’omologazione del concordato preventivo. L’unico effetto che ha è di escludere il consolidamento dell’esposizione debitoria nei confronti del fisco e non quella di incidere sull’ammissibilità del concordato.
Il Tribunale di Pisa si è pronunciato sulla questione.
Nel dicembre 2015 una s.r.l. ha presentato domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, proponendo la cessione di tutti i propri beni nell’arco di quarantotto mesi e la scomposizione del ceto creditorio in più classi.
Tra le varie classi vi era quella formata dall’erario, dagli enti previdenziali e dall’amministrazione tributaria, le cui pretese erano oggetto della proposta di transazione fiscale ex art. 182-ter Legge fallimentare.
La transazione presentata dalla debitrice prevedeva il pagamento integrale della sorte capitale dell’I.V.A., delle ritenute d’acconto e delle relative sanzioni ed interessi (che rappresentavano una parte consistente del debito maturato) e parziale degli altri tributi e contributi nel termine di quarantotto mesi dall’omologazione, con le risorse derivanti dalla liquidazione dei beni e nel rispetto delle cause legittime di prelazione.
Il Tribunale di Pisa ha omologato il concordato preventivo proposto dalla debitrice, nominando il liquidatore e il comitato dei creditori. Con riferimento alla circostanza per cui l’Agenzia delle Entrate ha espresso voto contrario in ordine alla proposta concordataria, il tribunale ha affermato che questo non consente l’esplicarsi degli effetti della transazione fiscale, ma non pone alcun problema sul punto della fattibilità giuridica.
Il problema posto all’attenzione del giudicante concerne il valore del voto espresso dall’Agenzia delle Entrate ed in particolare se questo si ponga come condizione di omologabilità del concordato preventivo.
Come è noto, la transazione fiscale è una procedura esperibile in sede di concordato preventivo o di accordi di ristrutturazione dei debiti, che vede coinvolti il contribuente e l’Amministrazione Finanziaria. È opinione comune che essa rappresenti una deroga al principio generale di indisponibilità e irrinunciabilità del credito tributario da parte del fisco, consentendo all’impresa che versa in stato di crisi di concordare con l’Erario una ristrutturazione dei debiti fiscali (privilegiati e chirografari), attraverso la fissazione di nuove scadenze ovvero mediante la riduzione del loro ammontare.
Lo scopo della transazione fiscale è quello di regolare in modo definitivo i rapporti con l’Amministrazione Finanziaria nell’ambito del concordato preventivo, onde evitare che possibili mutamenti del carico fiscale possano compromettere l’esito della procedura.
Attraverso la transazione fiscale il debito tributario si consolida e il contribuente ha certezza dell’ammontare della somma dovuta all’Erario, in quanto la pretesa tributaria viene cristallizzata alla data di presentazione della domanda.
La giurisprudenza ha affermato che la transazione fiscale rappresenta un istituto che ha natura sia eccezionale (Cass. Civ. Sez. I, 25 giugno 2014, n. 14447; Cass. civ. Sez. I, 22 marzo 2010, n. 6901) sia procedimentale (App. Venezia, sez. I, 23 dicembre 2013), essendovi associati aspetti relativi alla determinazione del credito e conseguenze in tema di estinzione dei giudizi pendenti.
L’istituto in questione non rappresenta un accordo autonomo e deve essere inserito nel piano concordatario; infatti, il concordato preventivo gode di propria autonomia rispetto alla transazione fiscale, mentre questa può essere proposta solo all’interno di un’altra procedura concorsuale e ne condivide gli effetti e le sorti; di conseguenza, i crediti tributari sono soggetti all’esito della votazione e del giudizio di omologazione.
Nel caso in esame il tribunale ha affermato che il voto dell’Agenzia delle Entrate non ha un peso diverso da quello degli altri creditori e, di conseguenza, non può porsi quale ostacolo al buon esito della procedura concordataria; ciò anche in considerazione della natura facoltativa della transazione fiscale. Infatti, il voto contrario dell’Agenzia delle Entrate non impedisce che il concordato spieghi pienamente i suoi effetti.
Tale interpretazione trova conferma nella giurisprudenza di merito, la quale ha affermato che la transazione fiscale non è autonoma rispetto al concordato preventivo e agli accordi di ristrutturazione (Trib. Piacenza, 3 luglio 2008); essa costituisce una fase endoconcorsuale, che si chiude con l’adesione o il diniego alla proposta di concordato preventivo da parte dell’Amministrazione Finanziaria, la quale resta soggetta alle sorti del concordato e ne subisce gli effetti obbligatori e remissori conseguenti all’omologazione (Trib. Milano, sez. II, 13 dicembre 2007).
Secondo il ragionamento delle corti di merito, la mancanza di autonomia trova la propria giustificazione nei seguenti argomenti: in primo luogo l’art. 182-ter Legge fallimentare non si discosta dall’art. 160 Legge fallimentare, che prevede la falcidia dei creditori privilegiati tributari, ma aggiunge a tale previsione la disciplina procedurale attraverso cui gli uffici fiscali pervengono al voto; inoltre, quella di cui all’art. 182-ter Legge fallimentare, non è una vera e propria transazione; infine, il precetto di cui all’art. 160 Legge fallimentare consente la falcidia dei crediti privilegiati e prevale sul principio di indisponibilità di quelli tributari (cfr. Trib. Benevento, sez. fall., 23 aprile 2014; App. L’Aquila, 16 marzo 2011).
Da qui: il voto contrario dell’Agenzia delle Entrate non impedisce l’approvazione della proposta concordataria da parte della maggioranza dei creditori e l’omologa del concordato preventivo (Cass. civ. Sez. I, 4 novembre 2011, n. 22931; Trib. Ravenna, 21 gennaio 2011); esso ha l’unico effetto di escludere che la società possa conseguire il consolidamento della propria esposizione debitoria nei confronti del fisco e non quella di incidere sull’ammissibilità del concordato (Trib. Asti, 3 febbraio 2010).
Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che in tema di omologazione del concordato preventivo, proposto con transazione fiscale ai sensi dell’art. 182-ter Legge fallimentare, il fisco che esprima un voto contrario alla proposta di concordato, può in data successiva, ma anteriore al giudizio di omologazione, manifestare la propria adesione alla transazione fiscale stessa (cfr. Cass. civ. Sez. I, 19 ottobre 2011, n. 21659).