Il Diritto d'Autore: ecco come si è evoluta la disciplina
Oggi vi racconteremo come si è evoluta la disciplina del Diritto d’Autore, portando come esempio un Case History interessante.
Nel 2000 un cantante e attore televisivo aveva citato in giudizio, presso il Tribunale di Milano, una società fonografica per ottenere:
- l’inibitoria al preteso utilizzo illecito della propria immagine abbinata a compact disc commercializzati dalla convenuta
- l’inibitoria alla riproduzione su cd e musicassette di brani musicali di propria creazione e alla relativa commercializzazione, entrambe perché eseguite in violazione delle previsioni del contratto discografico stipulato tra le parti tempo addietro
- il risarcimento del danno
- il pagamento delle royalties asseritamente maturate in forza del predetto contratto per la riproduzione dei contestati brani su dischi a 78,45 e 33 giri, gli unici ammessi dall’accordo.
Accogliendo le richieste dell’attore, il Tribunale di Milano inibiva alla società fonografica l’uso delle immagini e dei brani musicali dell’artista e ordinava il ritiro dei supporti fonografici sui quali erano stati fissati i suoni, nonché di qualsivoglia immagine del noto personaggio che fosse stata utilizzata a scopi pubblicitari. Il Giudice condannava inoltre la società fonografica al risarcimento del danno a titolo di responsabilità aquiliana.
Avverso tale sentenza, la società fonografica proponeva appello, che, tuttavia, veniva respinto con conseguente conferma di quanto statuito al termine del giudizio di primo grado.
La Corte d’Appello di Milano rilevava che la società fonografica non aveva dato prova dell’esistenza di un contratto discografico inter partes che legittimasse l’uso delle immagini del noto personaggio, nonché la riproduzione e la commercializzazione dei brani di questi, né di essere titolare di quei diritti che, salvo prova contraria, dovevano presumersi in capo all’artista e che, in ogni caso, il contratto stipulato in origine tra le parti riguardava la cessione alla società dei diritti connessi alle prestazioni artistiche del cantante soltanto a far data da un certo anno, senza tuttavia nulla disporre per i diritti spettanti per i brani precedenti. L’inibitoria veniva, quindi, confermata.
La società fonografica presentava, dunque, ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, rilevando, inter alia, che la Corte d’Appello di Milano non aveva correttamente applicato né la disciplina relativa alla tutela dei diritti propri dell’artista esecutore né quella riservata ai produttori fonografici e che la norma in forza della quale la Corte aveva ritenuto non fornita la prova dell’esistenza di un contratto discografico tra le parti era inapplicabile al caso di specie.
La Corte, ponendosi controcorrente rispetto ai provvedimenti dei due precedenti gradi di giudizio, ha ritenuto fondati i motivi di ricorso di cui sopra e ha, pertanto, cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Milano.
La recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione sarà utile per comprendere come la disciplina relativa alla tutela dei diritti spettanti all’artista interprete e/o esecutore e quella dei diritti che sorgono in capo agli autori e/o produttori di fonogrammi siano state nel tempo oggetto di molteplici modifiche, il cui susseguirsi ha addirittura stravolto il contenuto originario delle norme di riferimento.
Sicché l’analisi di una medesima fattispecie condotta secondo le norme così come oggi formulate porterebbe a risultati inevitabilmente differenti rispetto a quelli cui si giungerebbe se la detta analisi venisse condotta in base alle disposizioni normative come scritte in origine.
Il provvedimento in parola, non a caso, giunge a conclusioni diametralmente opposte rispetto a quelle fatte proprie dalle pronunce dei due precedenti gradi di giudizio: e ciò per l’assorbente ragione che i fatti di causa sono stati giudicati dalla Suprema Corte alla luce delle norme in vigore al tempo di detti fatti, anziché in base alle disposizioni in vigore oggi, applicate erroneamente sia dal Tribunale sia dalla Corte d’Appello.
L’applicazione della disciplina normativa corretta ratione temporis si è nel caso concreto tradotta nell’accoglimento dei motivi di ricorso formulati dalla società fonografica, piuttosto che nella conferma definitiva delle ragioni vantate, e accolte, dall’artista sia in primo sia in secondo grado. Ciò anche a fronte del fatto che il Giudice dell’Appello non aveva tenuto debitamente in conto che “la disciplina normativa distingue la tutela accordata a colui che si identifica con l’autore dell’opera dell’ingegno – tutela che consegue in sé all’atto di creazione dell’opera (art. 6 Legge diritto d’autore) – dalla tutela accordata, quanto alle opere o composizioni musicali, agli artisti esecutori (art. 80 Legge diritto d’autore)”.
La Suprema Corte ha, pertanto, rilevato che l’originaria formulazione dell’art. 80 Legge diritto d’autore – ovvero quella applicabile al caso di specie ratione temporis – riconosceva agli artisti esecutori di opere o composizioni musicali, il mero diritto a un equo compenso nei confronti di chiunque avesse diffuso o trasmesso per radiodiffusione, telefonia o altro apparecchio equivalente, ovvero avesse inciso, registrato o comunque riprodotto su disco fonografico o altro apparecchio equivalente, la suddetta rappresentazione o esecuzione.
Soltanto a seguito delle numerose modifiche di cui l’art. 80 è stato protagonista, gli artisti interpreti e/o esecutori vantano oggi veri e propri diritti d’esclusiva, che si declinano in termini di autorizzazione (e, dunque, anche di potenziale divieto) alla riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, in qualunque modo o forma, in tutto o in parte, della fissazione delle proprie prestazioni artistiche, alla messa a disposizione del pubblico delle proprie esecuzioni, alla distribuzione delle fissazioni e al loro noleggio, ecc.
Il nostro Legislatore giustificava la propria scelta di attribuire agli artisti un diritto a compenso, anziché un diritto di esclusiva, con la volontà di evitare che l’esercizio di un diritto esclusivo venisse ad intralciare la circolazione dell’opera in quella specifica interpretazione o esecuzione. Senza contare che storicamente la tutela degli artisti era considerata subordinata, e quasi accessoria, a quella del produttore fonografico: per molto tempo, infatti, il diritto di riproduzione esclusiva è stato accordato solo al produttore fonografico, mentre all’artista era riconosciuto un diritto ad ottenere un compenso in caso di utilizzazioni diverse da quelle per cui le prestazioni erano state originariamente effettuate e in caso di c.d. utilizzazioni secondarie.
A fronte del progresso tecnico, che ha reso possibile la fissazione dei suoni e delle immagini su supporti suscettibili di riproduzione in serie, è sorta, tuttavia, l’esigenza di tutelare maggiormente l’artista e di superare l’equivoca formulazione della Convenzione di Roma del 1961 per la quale l’artista avrebbe potuto “mettre obstacle” alle riproduzioni illecite: agli artisti interpreti e/o esecutori è stato quindi attribuito un pieno diritto esclusivo ad autorizzare (o a vietare) la fissazione, la riproduzione e la diffusione delle proprie prestazioni artistiche.
Nel caso di specie, però, poiché la norma da applicare è risultata essere il vecchio testo dell’art. 80 Legge diritto d’autore, che appunto prevedeva in capo all’artista un mero diritto a equo compenso, e poiché tale diritto è risultato essere stato pienamente soddisfatto dalla società fonografica, la Suprema Corte di Cassazione ha statuito che “in base all’evoluzione di cui si è detto, l’interpretazione ed esecuzione di opere musicali (o simili) rimane sì oggetto di un diritto connesso al diritto d’autore. Tuttavia, per i fatti collocati temporalmente nella vigenza della norma originaria, al suddetto diritto non viene collocata una facoltà esclusiva di utilizzazione ma solo una tutela patrimoniale, consistente nel diritto all’equo compenso”. La Corte ha pertanto accolto i motivi di ricorso formulati dalla ricorrente, disattendendo le pretese avanzate dall’artista, che erano state in effetti accolte dal Tribunale e dalla Corte d’Appello di Milano in forza dell’erronea applicazione ai fatti di causa dell’attuale formulazione dell’articolo 80 Legge diritto d’autore.
Precisato che ratione temporis deve aversi riguardo al testo originario della L. n. 633 del 1941, in quanto le registrazioni de quibus e le immagini nelle riproduzioni in CD e musicassette erano, in base alla sentenza, anteriori al 1960, vi è che l’art. 80, nel testo pro tempore, riconosceva agli artisti esecutori di opere o composizioni musicali, indipendentemente dalla eventuale retribuzione loro spettante per la rappresentazione o esecuzione, il mero diritto a un equo compenso nei confronti di chiunque avesse diffuso o trasmesso per radiodiffusione, telefonia o altro apparecchio equivalente, ovvero avesse inciso, registrato o comunque riprodotto su disco fonografico o altro apparecchio equivalente, la suddetta rappresentazione o esecuzione.
Un cenno merita il motivo di ricorso per il quale la sentenza della Corte d’Appello sarebbe stata affetta da vizio di ultra-petizione a fronte del fatto che l’inibitoria era stata concessa per qualunque supporto fonografico in possesso della convenuta, nonostante la relativa domanda fosse stata presentata dall’attore in termini più contenuti. Sul punto, la Corte di Cassazione ha rilevato che, poiché l’interpretazione della domanda così come formulata dalle parti spetta al giudice, “ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata – ed era compresa nel thema decidendum – tale statuizione, finanche erronea, non può essere censurata per ultra-petizione. Essa può configurare al più un errore interpretativo”.
In base quindi all’evoluzione di cui si è detto, l’interpretazione ed esecuzione di opere musicali (o simili) rimane sì oggetto di un diritto connesso al diritto d’autore. Tuttavia, per fatti collocati temporalmente nella vigenza della norma originaria, al suddetto diritto non viene collegata una facoltà esclusiva di utilizzazione ma solo una tutela patrimoniale, consistente nel diritto all’equo compenso (e v. anche l’art. 2579 cod. civ.).